L’amour fou

Da un po’ di tempo il cinema si sta interessando ancora di più al mondo glamour della moda e così sugli schermi si sono visti la perfidia di Anna Wintour in Il diavolo veste Prada, la vita avventurosa di Coco Chanel e la fulgida carriera di Valentino (senza parlare degli orridi film sulla morte di Versace). Inoltre, Tom Ford si è dato brillantemente alla regia. Oggi parliamo però parliamo di un film che c’entra con la moda ma è soprattutto uno straordinario inno all’amore. L’amour fou (dvd Feltrinelli, con due extra, fra cui un’intervista al regista Pierre Thoretton, e un libriccino allegato, L’amore è il dardo) è un documentario che rievoca il legame fra Yves Saint Laurent e Pierre Bergé, durato cinquant’anni fino alla morte del primo, nel giugno 2008.
Proprio Bergé ha voluto fortemente il film, per suggellare poeticamente il suo amore, dopo la morte del compagno. Grazie ai ricordi pacati e scanditi di Bergé (nato nel 1930), il regista rievoca la loro storia. Vediamo innanzitutto il ventenne Yves prendere il posto del suo maestro Christian Dior, subito dopo la sua scomparsa. Già le prime sfilate furono un successo enorme, anche perché nessuno pensava che quel timido e impacciato ragazzo occhialuto fosse in grado di continuare il lavoro fine e raffinato di Dior. Ma poi Yves perse il posto perché volle farsi riformare nella guerra francese contro l’Algeria (il paese dove era nato, a Orano, nel 1938) e così il proprietario della Dior, che aveva idee di destra, lo cacciò via.
Per fortuna allora intervenne Bergé. Si erano già visti fugacemente durante il funerale di Dior, ma il colpo di fulmine era scoppiato pochi mesi dopo a una cena. Proprio Bergé lo convinse a fondare una sua maison. Fu un successo trascinante, che tuttora continua in mano ad altri stilisti. Del resto il genio e il talento di Yves erano impressionanti, capace com’era di sfornare abiti elegantissimi, di ogni tipo e di ogni foggia, da quelli ispirati all’arte ad altri che sono poi entrati nella vita comune di tutti, a cominciare dall’utilizzo per la donna di alcuni capi maschili e del prêt-à-porter. Senza dimenticare gli sconfinamenti in altri campi come la profumeria, con Opium e Kouros.
Peccato che negli anni Ottanta Yves, come spesso accade a tanti in cerca di ispirazione, abbia cercato conforto nell’alcol e negli stupefacenti, mostrando tanta fragilità e cadendo nel tunnel della depressione. Per fortuna vicino a lui, nonostante qualche ovvio litigio e qualche separazione, c’è stato sempre Pierre, il vero factotum della maison. Le cose così si sono sempre ricomposte fino a quel fatidico 2002 in cui – è proprio la lunga scena con cui si apre il film – Yves comunicò il proprio ritiro.
Per quanto riguarda il privato, Bergé ricorda le tappe del loro legame, venato sempre da una certa malinconia: la casa in Normandia, Château Gabriel, tutta dedicata a Proust (adorato da Yves) e le due a Marrakech, la città di cui si innamorarono sin da quando la videro la prima volta. La seconda è la celebre villa tutta dipinta in un blu oltremare fortissimo, carica di un incredibile charme, dove ora è seppellito Yves.
Il film naturalmente fa vedere anche un mondo fatato di personaggi famosi, da Andy Warhol a Catherine Deneuve, che magari a qualcuno può dare fastidio ma che pure è abbagliante e attraente. Nello stesso tempo, permette di rivivere i fatti più importanti dell’epoca, come il 1968, quando Yves comunicò, con una decisione in seguito rientrata, di non voler più creare l’alta moda, che in quel momento gli sembrò sorpassata e fuori luogo. Le scene vengono spezzate da ciò che è accaduto poco tempo fa. Bergé infatti, con una decisione ponderata e sofferta, ha deciso di separarsi, ora che è solo, dalla straordinaria collezione d’arte che in trent’anni aveva costruito assieme a Yves. Così si vede che questa viene smantellata dalla loro casa parigina e poi venduta in un’asta da Christie’s.
Il rapporto fra Yves e Pierre fu accettato senza problemi da tutti, dal mondo politico fino alla chiesa che sopportò che al funerale Bergé recitasse un atto di passione con parole di grande emozione. Certo, viene un po’ di rabbia nel pensare che queste coppie – come Valentino/Giammetti o D&G – sono rispettate mentre altre di ceto sociale più basso debbano vivere in maniera più sofferta e spesso vengono calpestate. Ma sono anche questi simboli a far andare avanti la società. È proprio quello che ci ricorda questo docu-film, che oltre a riflettere su quanto vi sia di amaro dietro la fama e il lusso, esalta un legame fortissimo fra due persone dello stesso sesso con grande eleganza.