Una famiglia gay ci racconta come e perché ha adottato un bimbo

È sempre in nome della suprema protezione dei fanciulli che gli omofobi di tutte le risme, da quelli “garbati” a quelli più oltranzisti, si oppongono a qualsivoglia diritto degli omosessuali, con l’orrendo assunto che per la teoria del piano inclinato, “se ai gay diamo il matrimonio poi vogliono anche l’adozione, quindi forse è meglio dargli subito le unioni civili”: così, per tenerli buoni. Nel frattempo il disegno di legge Cirinnà è ancora oggetto di una prima discussione in Commissione Giustizia. Dopo aver affondato senza troppa fatica il testo Scalfarotto contro l’omo-transfobia i vari Adinolfi, Miriano e Gandolfini, con l’indispensabile complicità dei loro sicari ultracattolici in parlamento, stanno cercando di sabotare con precisione chirurgica l’asse portante del DDL Cirinnà sulle unioni civili: la stepchild adoption, ossia la possibilità da parte dell’altro componente di una coppia gay o lesbica di adottare il figlio naturale del/la partner, avuto grazie a fecondazione assistita, GPA (gestazione per altri), oppure da precedente matrimonio. È chiaro che chi blatera di “utero in affitto” e si erge a paladino delle donne sfruttate del terzo mondo, a questo vuole arrivare: impedire a tutti i costi che le coppie omosessuali italiane possano accedere all’adozione.

D’altro canto lo dicono pure i sondaggi che periodicamente misurano il grado di accettazione dei diritti gay da parte degli italiani: secondo l’ultima rilevazione effettuata a fine maggio dall’istituto Piepoli per il quotidiano la Stampa, ben il 73% del campione interpellato si dice contrario a concedere l’adozione dei bambini alle coppie lgbt.

Quando al desiderio di omogenitorialità si oppone l’accusa di egoismo, perché “i bambini non sono un diritto”, si dimentica che “la legge italiana attuale disciplina l’affiliazione per adozione come strumento per garantire dei genitori ad ogni bambino (e non viceversa, N.d.R.)”, ci ricorda l’avvocato di Rete Lenford Antonio Rotelli. “La nostra Costituzione afferma il dovere e il diritto dei genitori a mantenere, istruire ed educare i figli. Se si è in grado di assolvere questo ufficio si può essere genitori; in caso contrario la legge provvederebbe a far svolgere ad altri i loro compiti”. Secondo il collega di Rete Lenford Francesco Bilotta la normativa sull’adozione del nostro paese contraddice in qualche modo i Padri Costituenti perché “sconta una visione della famiglia che di fatto non esiste più: un modello normativo formato da due persone sposate e stop. Questo significa niente adozione ai single e niente adozione alle coppie non sposate. Poi uno guarda la realtà e vede che i single, anche se formalmente non adottano, ricevono spesso in ‘affidamento prolungato’ i bambini e alla fine è come se li adottassero. L’affidamento famigliare già oggi vede protagonisti molti (finti) single gay e lesbiche e nessuno dice niente. Sono ‘single fasulli’ perché vivono in coppia, ma si sorvola per evitare un impedimento all’affidamento. Per quanto riguarda le coppie non sposate, il divieto – ammesso che abbia un senso – dovrebbe essere limitato alle coppie etero che, se vogliono, si possono sposare. Però, perché impedirlo alle coppie gay stabilmente conviventi? La paura è quella di non fare l’interesse del minore, ma il retro-pensiero è sempre lo stesso, ovvero che l’omosessualità sia una malattia contagiosa e soprattutto che l’omosessuale sia fondamentalmente un anaffettivo che pensa al sesso tutto il giorno”.

Chissà se hanno fatto gli stessi ragionamenti pruriginosi anche i membri della Camera dei Comuni che nel 2002, dopo anni di discussioni accese, hanno licenziato l’Adoption Children Act, entrato in vigore in Inghilterra e Galles soltanto tre anni dopo. A dieci anni dall’evento che ha cancellato il divieto di adozione per singoli lgbt e coppie formate da persone dello stesso sesso possiamo fare un bilancio di come stanno andando le cose nel Regno Unito attraverso l’esperienza del giornalista quarantunenne Phil Reay-Smith, il quale attualmente lavora nelle pubbliche relazioni, e di suo marito Michael, insegnante di 44 anni; insieme hanno adottato il piccolo Scott nel 2008.

“Quando ho incontrato Michael nel 1996 l’idea di avere un bambino non mi sfiorava neppure”, racconta Phil. “Poi nel 2005 è stato possibile sposarci in Canada – Michael è canadese – e anche l’adozione per persone dello stesso sesso è stata legalizzata. Ci siamo resi conto che potevamo farlo anche noi solo quando ho incontrato un vecchio amico che aveva appena deciso di adottare col suo compagno”. L’amico in questione si chiama Andy Leary-May, ha 44 anni e oltre a lavorare come manager è il presidente dell’associazione New Family Social che si occupa di assistere gli omosessuali inglesi che decidono di intraprendere il percorso di adozione.

“Ricordo che telefonare all’agenzia per le adozioni per comunicare che avremmo voluto diventare genitori è stato assai strano; posso dire che in quel momento non mi sentivo ancora ‘papà’? L’agenzia si è comportata in maniera impeccabile: ci avrebbero trattato come qualsiasi altra coppia. Ci è stata prospettata la possibilità di accontentarci di qualche bambino ‘problematico’, visto che in genere nessuno li vuole. Invece la normativa del Regno Unito stabilisce che dal 2005 le coppie gay devono essere trattate allo stesso esatto modo di quelle etero”.
Non a caso l’ente nazionale che regola le adozioni in Inghilterra, la British Association for Adoption and Fostering, ha più volte ribadito che sostiene questa innovazione legislativa non per amore dei diritti lgbt “ma perché c’è bisogno di allargare il ventaglio di possibilità e incrementare il numero di potenziali genitori adottivi”.

Nonostante l’entusiasmo, all’inizio della loro esperienza Phil e Michael erano ancora convinti che essere gay avrebbe costituito un ostacolo per il piccolo Scott, all’epoca di appena 2 anni. “Invece no: dal primo momento in cui nostro figlio è venuto a vivere con noi ci siamo accorti di quanto la nostra omosessualità fosse davvero l’ultimo dei problemi. Gli scogli da superare sono invece gli stessi di qualsiasi genitore: pannolini, pappa, sonno, regole di comportamento e via dicendo. Ora Scott ha 9 anni, insieme a Michael è la mia famiglia e ci sentiamo normali e naturali come lo è stata la famiglia nella quale sono cresciuto io”.

Anche la reazione delle famiglie di origine dei due neo-genitori, nonché di amici e conoscenti, è stata di accoglienza, a dispetto di qualche perplessità iniziale: “Quando ho spiegato a mia madre il nostro progetto la sua reazione mi ha ricordato di quando le ho detto di essere gay: ‘Sono sicura che sarete gentili con lui ma non credo che due uomini dovrebbero crescere un bambino’. Poi si chiedeva se le sarebbe piaciuto essere chiamata nonna. Sono felice di aver constatato che ha cambiato idea molto più rapidamente di quando io ho fatto coming out con lei! Ha incontrato Scott e ha capito subito quanto volesse essergli nonna. Persino i nostri vicini lo adorano e sono così cortesi da fargli da baby sitter le poche volte che io e Michael usciamo di sera. Per non parlare degli insegnanti di scuola, davvero fantastici: non hanno mai fatto nessuna osservazione sul fatto che Scott avesse due papà. Noi viviamo in un quartiere di Londra dove è forte la presenza dell’Islam e io ero preoccupato che i genitori dei suoi compagni di scuola musulmani avessero da ridire. Ma ero prevenuto: ogni qual volta ci siamo incontrati, nessuno ha detto nulla. Sono fermamente convinto che se si è schietti, aperti e sinceri e si trattano le persone con rispetto, si riceverà in cambio lo stesso trattamento”.

Il clero britannico non è stato altrettanto accondiscendente dopo l’estensione a tutti delle adozioni, a giudicare dal terremoto che ha provocato soprattutto tra le agenzie di ispirazione cattolica: in seguito al varo della legge da parte del governo laburista di Tony Blair, queste ultime hanno protestato, hanno fatto ricorso ma poi la maggior parte si è piegata ad accettare genitori gay e lesbiche tra gli aspiranti adottanti, prendendo invece le distanze dai diktat vaticani; altre ancora hanno preferito chiudere del tutto. In un solo caso, dopo una causa vinta davanti ai giudici, l’agenzia Catholic Care situata a Leeds ha potuto continuare a discriminare i genitori omosessuali. In ballo non c’è soltanto l’ideologia anti-gay ma la questione dei finanziamenti, che sono sostanziosi sia da parte di Oltretevere che da parte dei governi di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord.
“Non credo che le coppie omosessuali si sarebbero mai rivolte alle agenzie bigotte quando ci sono tanti altri centri per l’adozione non confessionali”, osserva Phil. “In ogni caso ormai la legge è cambiata, ci sono ancora le agenzie cattoliche e il mondo gira come prima”.
Una ricerca del 2013 realizzata dall’università di Cambridge ha stimato in circa 4.000 i bambini in attesa di adozione nel Regno Unito ogni anno e soltanto in 60 quelli che vengono accolti dalle coppie gay; sono altrettanti quelli che sono presi in custodia dalle coppie lesbiche.
“In questo momento, in Italia come nel Regno Unito, ci sono tanti bambini alla disperata ricerca di una casa e di genitori che li amino e si prendano cura di loro, e tanti gay disposti a farlo. Che questi bambini ricevano il sostegno di cui hanno bisogno è tanto urgente quanto l’evoluzione dei diritti lgbt. Ora noi inglesi abbiamo un’ottima legge e di certo la questione normativa è una parte importante per arrivare alla piena uguaglianza. Eppure l’omofobia esiste ancora e ancora troppi giovani gay e giovani lesbiche si uccidono perché si sentono diversi dagli altri”.

D’altra parte, il sostegno dato alle coppie gay che adottano da parte di associazioni come New Family Social è importante perché, ricorda Phil, “è bello sapere che possiamo portare Scott a giocare al parco con gli altri ragazzi della stessa età che non solo sono stati adottati come lui, ma come lui hanno due papà o due mamme. In questo modo mio figlio sa di non essere l’unico in questa situazione”.

Per il resto Scott e i suoi due papà si trovano ad affrontare i problemi di tutte le famiglie con bambini. “Sta andando abbastanza bene a scuola? Ha bisogno di aiuto extra con l’aritmetica o la lettura? Avere un figlio della sua età è davvero gratificante, e mi ritrovo a fare cose che mai avrei immaginato. Ad esempio non mi è mai interessato il calcio; invece Scott ne va pazzo! Così ora siamo diventati tifosi dell’Arsenal, seguiamo la Champions League, guardiamo le partite in televisione e passiamo un sacco di tempo ad accompagnarlo a giocare nella sua squadra”.
Per concludere, invitato a fare un auspicio per il futuro di suo figlio, Phil ci congeda così: “Tutto quello che posso lasciargli è la convinzione di essere amato e la capacità di imparare ad amare gli altri. Non è suo dovere rendere il mondo un posto migliore per le persone lgbt; certo è che nel nostro piccolo la nostra esperienza racconta al mondo che esistono famiglie arcobaleno dove i bambini possono crescere sereni e felici”.

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