Donne-moi la main

L’inizio di Donne-moi la main (dvd Atlantide, con trailer e un’intervista al regista) è insolito: dei cartoni animati in stile manga, in cui vediamo un ragazzo, che lavora in una panetteria, che fugge via dal negozio insieme a un altro ragazzo, a lui molto somigliante, che lo è venuto a chiamare. Poi si passa al film. È una trovata del regista francese Pascal-Alex Vincent per dare una connotazione precisa al suo film, che vorrebbe ispirarsi ai manga, e per ricordarci come per anni ha lavorato nella distribuzione in Francia del cinema giapponese, la sua grande passione.
Ne è nato un road-movie suggestivo, anche se ancora acerbo. Antoine (Alexandre Carril) e Quentin (Victor Carril) sono due gemelli, all’incirca di 18 anni, che decidono, all’insaputa del padre, di andare in Spagna al funerale della madre, che non hanno mai conosciuto. Per questo si incamminano, pur senza denaro, decisi a raggiungere la meta a ogni costo e con ogni mezzo di locomozione: a piedi, in autostop o in passaggi clandestini su treni merci. Il viaggio è contrassegnato da riflessioni, da dubbi, dalla fatica ma anche da litigi, che portano spesso i due a scontri fisici, anche cruenti. Molti i luoghi visti e tante le persone incontrate, come uno strano automobilista che dà loro un passaggio in cambio di chissà che cosa… Ma ci sono anche dei piacevoli incontri sessuali, con due ragazze oppure con Clémentine (Anaïs Demoustier), una giovane che li segue nella foresta, o con Hakim (Samir Harrag), che fa sesso con Quentin. Proprio quest’episodio porta alla separazione dei due fratelli. Alla fine però Antoine ritrova il fratello nel cimitero, in Spagna. Ma anche quest’emozione forte non muta il loro rapporto lacerato e rabbioso.
Vincent è arrivato a questa sua opera prima dopo alcuni corti che gli hanno dato una certa notorietà e qualche premio, tutti incentrati sull’adolescenza, sull’identità sessuale e sui rapporti con i genitori. Proprio per uno di essi, Bébé Requin, si imbatté nel 2005 nei gemelli Carril, estremamente differenti fra di loro, nella vita privata legati visceralmente ma anche portati naturalmente allo scontro fisico. Da qui l’idea di una storia tutta per loro, strutturata su un viaggio, una cosa che di per sé scatena delle dinamiche tutte particolari; non a caso Vincent ha lasciato che sul set i due fratelli improvvisassero anche, mettendoci tanto di loro.
Anche qui ritroviamo alcuni dei temi cari a Vincent – la gemellarità, l’identità e la differenza sessuale – a cui si aggiunge il viaggio, che vuole dare l’idea di un processo di iniziazione. Quentin e Antoine sono molto differenti: uno è abbastanza loquace, l’altro preferisce sfogarsi col disegno. Amano giocare e farsi scherzi e dispetti, ma poi spesso la cosa degenera in furiosi corpo a corpo. Non si capisce cosa ci sia dietro: tutto è poco chiaro, c’è troppo non detto e ciò fa sì che non si capiscano bene i comportamenti e gli umori dei due, c’è un rancore di base che sfugge allo spettatore. Lo stesso scopo del loro viaggio lo si sa di sfuggita, solo grazie a una domanda di Clémentine.
Tutto ciò dà un taglio ben preciso: la trama non si sviluppa attorno alle psicologie dei due (che rimangono identiche dall’inizio alla fine) ma attorno al viaggio in sé. Ne risulta un film molto visivo, in cui ciò che conta è la bella inquadratura: la natura (filmata sempre con luce naturale), i paesaggi, i dettagli, come uno stelo d’erba o una lumaca.
Questa ricerca di visualità include anche l’attrazione per il corpo maschile. Il film si perde infatti nella bellezza magnetica dei due fratelli e dei loro corpi, spesso intrecciati con la natura. C’è dunque una maniera di filmare di per sé omoerotica, a cui si aggiunge l’intrigante rapporto fra Quentin e Hakim, l’unica scintilla che dà una vera sterzata al racconto. Con una coda imprevista, che vede Antoine vendere il fratello per 100 euro a un tizio nella stazione (ma tanto poi Quentin non ci sta).
Non è detto che Donne-moi la main (letteralmente “dammi la mano”) piaccia a tutti. A molti possono dare fastidio i silenzi e l’assenza di un vero racconto, nonché una certa banalità di fondo. Altri invece possono rimanere conquistati dalla bellezza delle immagini e dalla fisicità dei fratelli. Il titolo deriva dal refrain di un splendida canzone del 1963, Melocotón, di Colette Magny, una cantante adorata in Francia, anche per le sue posizioni politiche di sinistra. La canzone, dal testo un po’ misterioso, racconta di un fratello e una sorella perduti nella natura. Nel film fa una comparsa Fernando Ramallo, uno dei due ragazzini di Krámpack.