Khmer rainbow

Nel 2006 l’attuale primo ministro cambogiano Hun Sen ha dichiarato: “Vorrei approfittare di questa occasione per fare un appello ai genitori e alla società di non discriminazione nei loro confronti: la maggior parte (degli omosessuali) sono persone buone e non fanno uso di alcool e droghe”. Se tralasciamo il surreale “dettaglio” che l’occasione di questa dichiarazione era l’annuncio di aver ripudiato la figlia in quanto lesbica, è poi quantomeno singolare che queste posizioni vagamente progressiste ma un po’ naïf provengano da un ex membro dei Khmer Rossi, i famigerati rivoluzionari maoisti che tra il 1975 e il 1979 hanno sterminato un quarto della popolazione cambogiana e che ancora aspettano di essere processati da un tribunale internazionale per crimini contro l’umanità.
Nonostante una classe dirigente inadeguata e corrotta, la Cambogia sta uscendo a gran velocità da un passato di conflitti e carestie. L’economia è in rapida espansione e i suoi giovanissimi abitanti – più di metà della popolazione ha meno di diciotto anni – hanno molta voglia di lasciarsi alle spalle l’isolamento internazionale patito da nonni e genitori in seguito al coinvolgimento del loro paese nella guerra del Vietnam, all’ascesa dei Khmer Rossi e alla guerriglia, terminata alla fine degli anni Novanta con il ritorno dell’antica denominazione di Regno di Cambogia e di una relativa pace sociale.
L’attenzione verso il turismo, compreso quello gay, è una voce sempre più importante in questa volontà di cambiamento, anche se il piccolo paese del sudest asiatico è ancora lontano dall’aver raggiunto i livelli di sviluppo dei vicini di casa più prossimi, come l’amico-nemico Vietnam e la sorella ricca e arrogante Thailandia.
La recente e timida politica gay friendly ha di certo più di una motivazione utilitaristica, tuttavia la buona fede dei cambogiani è confermata dal fatto che, tra tutti gli inciampi riscontrabili nella sua storia passata, almeno di omofobia non c’è traccia, anzi: l’omosessualità non è mai stata illegale, e, come ha ricordato qualche anno fa il “Re padre” della patria cambogiana, il camaleontico e leggendario Sihanouk, “gli omosessuali dovrebbero essere autorizzati a sposarsi, perché Dio apprezza un’ampia gamma di gusti differenti”.
La maggior parte dei cambogiani pratica il buddhismo theravada, una declinazione particolarmente votata alla modernità e al rispetto dei diritti civili, una specie di calvinismo orientale dove il lavoro quotidiano e le buone azioni permettono al fedele di “guadagnare punti” in modo da raggiungere più velocemente lo stato del nirvana.
Il turista occidentale gay particolarmente amante delle delicate bellezze orientali non può non apprezzare lo sciamare di tanti deliziosi giovani monaci vestiti di arancione che girano per le case in cerca di offerte da portare al tempio (wat): per un breve periodo, dopo gli studi e prima di sposarsi, i ventenni cambogiani maschi prestano servizio alla collettività, come succedeva nel nostro vecchio servizio civile.
Il periodo migliore per visitare la Cambogia è nei mesi di dicembre e gennaio, durante la stagione secca: l’umidità tropicale rimane bassa e soffia spesso una piacevole brezza rinfrescante. Questo è però anche il periodo di maggior afflusso di turisti, specialmente sudocoreani, cinesi, russi e, tra gli occidentali, americani e francesi, gli antichi colonizzatori. Il consiglio è quindi di prenotare con largo anticipo alberghi e guesthouse. Si può scegliere un itinerario godereccio e frenetico in città, esplorare la Cambogia rurale delle luccicanti risaie e delle piantagioni di palma da zucchero, oppure avventurarsi nella foresta dei Monti Cardamomi, a ovest, dove sta crescendo un interessante turismo ecosostenibile.
In Cambogia non esistono vere e proprie associazioni gay, né un movimento omosessuale strutturato. Solo un paio d’anni fa è nato il Rainbow Community Kampuchea (RoCK), comitato organizzativo del pride glbt cambogiano, che si è svolto a Phnom Penh il 17 maggio del 2009 e del 2010, in occasione della giornata mondiale contro l’omofobia. A detta degli organizzatori dovrà essere un appuntamento annuale: phnompenhpride.blogspot.com. Il RoCK vorrebbe diventare un’associazione gay a tutti gli effetti, con il sostegno di gruppi glbt americani, indiani e russi.
Prima del RoCK bisognava accontentarsi di una manciata di siti web (in lingua inglese) di attualità e informazioni utili, con gli indirizzi di discoteche, saune e pub gay distribuiti soprattutto tra le principali città Phnom Penh, Siem Reap e Sihanoukville. Il più importante è www.cambodiaout.com, ma merita un’occhiata anche www.utopia-asia.com, che mostra particolare attenzione alle campagne d’informazione sulle malattie a trasmissione sessuale e sul sesso sicuro. È bene ricordare comunque che, nonostante le aperture più recenti, il popolo cambogiano rimane piuttosto conservatore e tradizionalista: sono da evitare in pubblico le manifestazioni troppo esplicite di affetto – che il popolo khmer trova esecrabili anche tra uomo e donna – o le scheccate esagerate.
Se arrivate in Cambogia con un volo dall’Europa che fa scalo a Bangkok, in Thailandia, è utile cominciare la visita cambogiana dalla vicina Siem Reap, antica cittadina nei pressi del lago Tonlé Sap che negli ultimi anni si è ampliata enormemente grazie al turismo. A poca distanza, infatti, si sviluppa l’immensa area dei templi hindu (e successivamente buddhisti) dell’antica capitale cambogiana, Angkor, cuore pulsante della civiltà Khmer che nel momento di massimo splendore (XII secolo circa) comprendeva buona parte degli attuali Laos, Vietnam e Thailandia. Angkor Wat è il tempio più maestoso e meglio conservato, ma è il caso di raggiungere anche il bizzarro e inquietante Bayon o il magico Ta Prohm, nel suo decadente intrico tra vestigia architettoniche e rigogliosa vegetazione tropicale, tenuta a bada dagli esperti dell’Unesco. Per gustare al meglio questi gioielli antichi il consiglio è di visitarli con calma in tre-quattro giorni, inframmezzando magari alle visite diurne dei templi qualche rilassante passatempo notturno, che a Siem Reap non manca.
Come la raffinatissima sauna gay Men’s Resort & Spa, dotata di piscina e servizio massaggi e frequentata per lo più da occidentali. Peccato che la penombra perenne da dark room, tipica delle saune cambogiane, rischi di far inciampare in maniera poco elegante gli avventori seminudi che fossero poco dotati di vista felina. Se non vi spezzate una gamba nel frattempo, un approccio abbastanza originale sarebbe quello di rovinare addosso alla preda prescelta… Per raggiungere la sauna chiedete senza problemi all’autista di tuk-tuk – gli economicissimi taxi a tre ruote caratteristici di tutto il sud-est asiatico – di accompagnarvi fin sotto la soglia, altrimenti trovarla potrebbe rivelarsi parecchio difficile.
In città sono nati da qualche anno alberghi gay friendly dai nomi ammiccanti come Cockatoo o Golden Banana. Quest’ultimo è assolutamente consigliato: prezzi abbordabili, atmosfera accogliente, stanze sobrie e pulite, cibo delizioso, piscina spaziosa e personale costituito da dolci ragazzi sempre sorridenti e dall’aria inequivocabilmente omosessuale. L’apparenza però può ingannare: la sinuosa eleganza cambogiana non va scambiata con l’effeminatezza gay.
In Cambogia il concetto di identità omosessuale è piuttosto alieno, decisamente legato alla cultura gay occidentale. Qui l’omosessualità è associata ad aspetti e movenze di persone che noi definiremmo travestite o trans, e che vanno sotto il nome di “ladyboys”. Sono individui tollerati socialmente proprio perché decisamente riconoscibili: un po’ quello che succedeva da noi al sud coi femminielli napoletani. Se da queste parti date a qualcuno del gay, quindi, gli state dicendo in faccia che è una pazza sfranta; potreste offenderlo, col rischio di farlo scappare a gambe levate sul più bello. Molto meglio parlare più genericamente di “ragazzi che amano altri ragazzi”: non è raro, in Cambogia come in molti altri paesi orientali, che gli omosessuali a un certo punto si sposino e facciano figli, continuando tranquillamente a passare tutti i pomeriggi in sauna.
Se frequenterete i molti locali gay friendly di Siem Reap, come l’affollatissimo lounge bar Linga, o il più discreto e retrò Miss Wong, entrambi gestiti da occidentali, state attenti a non imbattervi in qualche marchetta (“moneyboy”) minorenne e a finire quindi le vostre vacanze nelle prigioni del regno. In Cambogia purtroppo la prostituzione minorile, anche omosessuale, è parecchio diffusa, ed è dovuta all’estrema povertà di molti contadini che non esitano a vendere i propri figli a trafficanti senza scrupoli. Solo di recente il governo cambogiano sta cercando di arginare il fenomeno con la collaborazione dei paesi occidentali.
Sia in macchina sia con moderni bus di linea è possibile raggiungere la capitale cambogiana in circa quattro ore, viaggiando su strade tutto sommato in buone condizioni e abbastanza sgombre; rischierete piuttosto di rimanere imbottigliati arrivando in città, visto che l’unica via di accesso a Phnom Penh è quasi sempre affollata di carri, camion e motorette. Rispetto alla vicina Bangkok, Phnom Penh è molto meno ipertrofica e caotica, conservando quasi intatto il fascino dell’impianto classico che i conquistatori francesi le diedero sul finire dell’ottocento, con gli ampi boulevard e le piazze abbellite da aiuole fiorite e ordinate. Le guide turistiche non concedono più di un paio di giorni per visitare la città, ma si sbagliano. Se ne avete la possibilità, rimaneteci pure il doppio del tempo, così da gustarvi con tranquillità il bellissimo Museo Nazionale di arte antica khmer, con alcuni esemplari in pietra del lingam, il simbolo fallico emblema della potenza imperiale; lo scintillante Palazzo Reale, residenza dell’attuale sovrano Sihamoni; o i coloratissimi mercati che punteggiano la città e che potrebbero riservarvi qualche inaspettato ottimo affare. Se avete lo stomaco forte e la passione per la storia del Novecento, vale la pena passare una mattinata nel Museo Tuol Sleng, una vecchia scuola superiore trasformata dai seguaci di Pol Pot (capo del regime comunista che governò la Cambogia dal 1975 al 1979) in un centro di prigionia, tortura e sterminio di dissidenti e avversari politici. Sono ancora visibili le reti metalliche dove venivano legati i malcapitati sotto tortura, e le centinaia di foto segnaletiche con tutti i prigionieri che hanno trovato la morte tra quelle pareti fino alla liberazione della città da parte dei vietnamiti, nel 1979.
Per riprendervi dagli orrori del passato recente cambogiano potete infilarvi subito dopo in qualche modernissima spa gay friendly come la Hatha Khmer e farvi massaggiare da vigorosi maschi locali, oppure saltare i convenevoli e puntare direttamente alla sauna gay Amam Cafè, pulita, sobria ed essenziale, gestita da un francese e dal suo aitante ex fidanzato khmer. Essendo per lo più rivolta a una clientela locale, i rari frequentatori occidentali sono letteralmente presi d’assalto appena mettono il naso nel bagno turco, con un disarmante effetto piovra. Se riuscite a scacciare il sovrappiù di giovani asiatici arrapati ma siete sprovvisti di condom e lubrificante, basta chiederli all’ingresso e si possono avere gratuitamente.
Agli amanti delle spiagge davvero incontaminate conviene dirigersi a sud ovest, verso Sihanoukville, principale sbocco sul mare del paese e vivacissimo, benché un po’ sgarrupato, centro turistico frequentato per lo più da backpackers occidentali dalle tasche vuote. Prendete poi una barca che vi porti in una delle isole al largo della città, da quelle più piccole, adatte allo snorkeling a quelle un po’ più lontane come Koh Rong e Koh Rong Samlon, con litorali praticamente deserti di sabbia abbagliante. Potete fare una breve gita e poi tornare indietro, oppure fermarvi in uno dei pochi alberghi fatti di capanne (spartanissime! si tratta di luoghi ancora protetti dal turismo di massa) sparsi sulle isole, per meglio apprezzare l’incantevole paesaggio bagnandovi nell’acqua cristallina.
Un tratto distintivo dei cambogiani è la gentilezza, e l’entusiastica determinazione a entrare in sintonia col viaggiatore occidentale, senza per questo rinunciare al proprio orgoglio nazionale. Al di là di tutte le bellezze artistiche e paesaggistiche di questo sfortunato paese, posso azzardarmi a dire che la più grande attrattiva della Cambogia è proprio il popolo khmer.
Vorrei concludere con una metafora simpatica della condizione del popolo cambogiano di oggi. Me l’hanno suggerita i molti conducenti di tuk-tuk di Phnom Penh che non riuscivano in nessun modo a trovare gli indirizzi delle mie destinazioni, sbagliando continuamente strada: in quei casi si fermano, con fare serafico tirano fuori la mappa della loro città e ti chiedono di aiutarli a capire dove si trovano, e dove ti devono portare. Con un sorriso, pochi mezzi e tanta buona volontà.