Camere vuote

Diritti glbt in Italia? Nulla di fatto. Ricorderemo questo 2013 solo come l’anno delle mediazioni.
Dopo le elezioni con la mediazione è nato un governo di larghe intese, per via di un malinteso senso di unità nazionale. Grazie alle medesime mediazioni è in discussione in Senato una legge contro l’omofobia ispirata per metà alla truffa per l’altra metà alla convenienza politica.
Per capire in che casa albergano le questioni glbt nell’agenda politica del governo Letta bisogna fare un passo indietro e tornare proprio alle elezioni.
I principali partiti italiani, dieci mesi fa, affrontavano le questioni glbt navigando a vista, in una zona grigia e mobile di idee senza nome.
Voltando lo sguardo a destra si poteva osservare la Lega Nord ignorare l’esistenza di omosessuali e lesbiche e ribadire nel programma elettorale il concetto di “difesa” della famiglia intesa solo come “comunità naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna”.
Il Popolo delle Libertà, ora diviso, per parte sua si impegnava a difendere e sostenere la famiglia definita come “comunità naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna”. Non possiamo dimenticare poi le parole del professor Mario Monti, “la famiglia è costituita da un uomo e una donna”, in una dichiarazione a SkyTG24. Evidentemente nel programma di Scelta Civica non c’era traccia di diritti glbt.
Anche il programma elettorale del Movimento 5 Stelle, nonostante le aperture del suo leader maximo Beppe Grillo al matrimonio tra coppie dello stesso sesso, non parlava di noi.
A sinistra, dopo numerose dichiarazioni di Pierluigi Bersani di apertura alle unioni civili “alla tedesca” per le coppie dello stesso sesso, sul programma del PD si poteva leggere: “Daremo sostanza normativa al principio riconosciuto dalla Corte Costituzionale, per il quale una coppia omosessuale ha diritto a vivere la propria unione ottenendone il riconoscimento giuridico. È inoltre urgente una legge contro l’omofobia”.
Uno spiraglio di luce sulle questioni glbt veniva anche dal partito di Nichi Vendola, Sinistra Ecologia e Libertà, alleato con il partito di Bersani, che chiedeva voti anche perché “le coppie omosessuali devono avere gli stessi diritti e doveri delle coppie eterosessuali. Il primo riconoscimento di questi diritti passa dall’estensione del matrimonio civile anche alle coppie omosessuali. Le coppie di persone omosessuali devono veder riconosciuto il diritto all’omogenitorialità, ovvero al legame, di diritto o di fatto, con uno o più bambini, sia figli biologici sia adottati.”
L’esito delle elezioni ha punito tutti senza far vincere nessuno.
Tuttavia nella comunità glbt si respirava un clima di fiducia. Il 15 marzo, nella prima seduta della Camera, è stata depositata la proposta di legge per il contrasto all’omofobia e alla transfobia, presentata dai neo deputati Ivan Scalfarotto (Pd), Alessandro Zan (Sel), Irene Tinagli (Scelta civica) e Silvia Chimienti (M5S) e scritta con l’aiuto di Rete Lenford, l’associazione di avvocati e giuristi per i diritti glbt. L’intento era quello di estendere la legge Mancino contro i reati di odio sulla “base dell’identità sessuale”. La proposta di legge è una delle più sottoscritte della storia della Repubblica, un terzo dei parlamentari l’ha firmata (ben 221).
Non è comunque l’unica proposta di legge che ci riguarda. Rete Lenford ne ha scritte altre due: una sul matrimonio egualitario, firmata da De Petris (Misto/SEL); Vendola (SEL); Scalfarotto (PD); Orellana (M5S) e l’altra sulla modifica dell’attribuzione del sesso anagrafico sui documenti per le persone trans non operate, presentata da Scalfarotto (PD) Airola (M5S) e Lo Giudice (PD).
“Credo che su questi testi si possa raccogliere un consenso anche più ampio, e lavorerò a Montecitorio per trovare molti altri parlamentari disponibili a sostenerli” dichiarava soddisfatto Ivan Scalfarotto il primo marzo 2013. Qualcosa deve essere andato storto. A quasi un anno di governo di larghe intese ci troviamo in mano un nulla di fatto.
Il testo della legge contro l’omofobia e la transfobia approvato alla Camera giace al Senato svuotato di senso da emendamenti e sub emendamenti che lo hanno ridotto a un solo articolo che amplia la legge Mancino contro le discriminazioni, ma non definisce i concetti di orientamento sessuale e identità di genere e non prevede aggravanti di pena a differenza delle altre aree di discriminazione.
Peggio, il 20 settembre scorso è stato approvato un subemendamento dell’onorevole di Scelta Civica Gregorio Gitti che assolve partiti e associazioni che incappino in omofobia dal reato di discriminazione. È insomma una garanzia di immunità per tutte quelle organizzazioni, a partire da Forza Nuova, che fondano la loro propaganda sull’intolleranza nei confronti delle diversità.
Su questo emendamento “salva omofobi”, sostenuto dal Pd per ottenere una maggioranza “a larghe intese” sul testo, le associazioni glbt insieme a Sel e M5S hanno polemizzato con durezza.
La norma, secondo chi la sostiene, non intaccherebbe l’efficacia della legge. Per tutti gli altri, al contrario, annacquerebbe non solo il reato di omofobia, ma tutta la legge Mancino. Finendo per “discriminare i lavoratori omosessuali”, come ha sostenuto il M5S, e per rappresentare addirittura un “salvacondotto” per associazioni o partiti omofobi, razzisti e nazifascisti, come ha contestato SeL.
Sarà comunque difficile modificare la legge “nei dettagli” come spera Ivan Scalfarotto. Al Senato il PD è in minoranza e sarà costretto, ancora una volta a mediare per ottenere, nella migliore delle ipotesi, una pessima legge. Questo, nonostante le promesse del senatore del Pd Sergio Lo Giudice, nonché presidente onorario di Arcigay, che ha dichiarato che farà il possibile per raccogliere i voti di Movimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia e Libertà, e fare così una buona legge.
Il giudizio complessivo di Rete Lenford sull’operato del Parlamento è comunque negativo.
Il presidente Antonio Rotelli commenta: “Non si riesce a comprendere la ragione per la quale una legge, la Mancino, che prevede reati quando si discriminano le persone che hanno fede differente, non possa essere applicata a persone omosessuali e transessuali. La legge in discussione ora non estende la Mancino reale, cosa che si poteva fare molto semplicemente, ma rasenta anche dei problemi di tipo applicativo a causa dell’emendamento Gitti. Nutro personalmente molte perplessità sulla gestione parlamentare della legge”. E sulle responsabilità di questa “mediazione” Rotelli aggiunge: “Vanno trovate all’interno del PD piuttosto che nel confronto con altri partiti e questo lo dico a ragion veduta. Basta leggere cosa aveva detto il redattore in fase di presentazione del progetto di legge, anche perché aveva inizialmente espresso dei dubbi ma definito l’impianto della legge corretto.
Qualcosa è andato storto ed è stato tutto appannaggio della politica, non dei tecnici. Speravo che Scalfarotto tenesse il timone dritto. Delude un sistema nel quale un sola persona può determinare che una buona proposta si trasformi in una cattiva legge, questo vuol dire che il sistema non funziona”.
E le proposte di legge che riguardano il matrimonio egualitario e la modifica dell’attribuzione di sesso che fine hanno fatto? Giacciono anche loro dimenticate all’esame delle Commissioni parlamentati.
Sul matrimonio tre proposte, di PD, Gruppo misto-SeL e M5S, chiedono l’estensione del matrimonio alle famiglie formate da persone dello stesso sesso e altre tre, tutte del PdL, disciplinano patti tra conviventi, etero o omosessuali, con il riconoscimento minimale di diritti-doveri e possono essere assimilati ai più noti DICO, DIDORE o CUS delle passate legislature.
Il loro percorso legislativo però è tutto in salita. Nel dibattito in Commissione parlamentare erano state accorpate sotto il nome di “norme in materia di unioni civili”, e già l’assenza della parola “matrimonio” nel titolo dell’iter legislativo, faceva ritenere che i nostri politici non volessero estendere il matrimonio ai gay e che l’abbinamento di questi disegni di legge fosse unicamente formale. Fortunatamente nel luglio 2013 la commissione Giustizia ha deciso di instradare i matrimoni, e le unioni civili su percorsi legislativi autonomi.
“Questo è un ottimo risultato, il fatto che le proposte sul matrimonio egualitario siano giunte in parlamento, è vero: sono ferme in esame di commissione ma adesso c’è bisogno che qualcuno spinga per andare avanti piuttosto che rimanere immobili” spiega ancora Rotelli.
Anche la comunità transessuale italiana resta in attesa che le proposte di legge sull’attribuzione del nome (la cosiddetta piccola soluzione) vengano calendarizzate e dunque discusse. Per arrivare a questo risultato, sempre per Rotelli, serve un colpo di reni alla coscienza dei deputati che le hanno presentate (Ivan Scalfarotto, Sergio Lo Giudice e Alberto Airola): “La comunità tutta, non solo la comunità trans, deve attivarsi”.
Su tutto il resto il Parlamento immobile tace. Nessuno si preoccupa, per esempio, di lotta e prevenzione all’Hiv-Aids dove regna un deserto politico-legislativo. Eppure ci sarebbe spazio per una discussione su nuove politiche di prevenzione strutturate su più livelli. Altrove si parla di rispetto della persona sieropositiva (lotta allo stigma sociale), di campagne, di test rapidi e veloci, di preservativo e di riduzione del rischio. In Italia no.
L’indifferenza del più forte sul più debole è il metro esatto di questi ultimi mesi di governo di larghe intese, ma anche l’esito di un ventennio almeno di immiserimento culturale. La comunità glbt continua a essere relegata all’invisibilità, al silenzio, alle politiche di illusione e menzogna, all’isolamento e spesso all’insulto. Questo è un Parlamento sordo e immobile mentre fuori dal palazzo c’è un’Italia che lotta per non tornare indietro, per un futuro di diritti.